Rappresentanze sindacali e contratti nazionali: semplificare sì, ma come?
L’incapacità di rispondere ai cambiamenti dell’economia globale in modo compatto ha reso il movimento sindacale così debole tanto che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul caso Fiat – che nei fatti afferma il diritto di rappresentare anche qualora non si firmino contratti aziendali è esploso il fenomeno delle rappresentanze nuove e dei contratti apocrifi: nel 2010 il numero dei contratti collettivi nazionali era di circa 400, ora siamo a più del doppio.
In questa situazione, molto rumorosa ab origine, ma poi alquanto silenziosa, le Parti hanno provato a metterci una pezza con il Testo Unico sulla Rappresentanza (gennaio 2010), il quale però può solo disciplinare tra coloro che lo firmano e non tra le rappresentanze nuove che non hanno nessun interesse a vedersi regolare il loro perimetro e la loro azione dalle confederazioni maggioritarie che – secondo l’articolo 39 della Costituzione – avrebbero dovuto “stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”. A qualcuno pare che in questo contesto così frammentato sia difficile che il lavoro possa ricevere quella spinta propulsiva che può accompagnare la grande trasformazione di Industry4.0.
Il recente rinnovo del contratto collettivo metalmeccanico ha ricomposto i vari attori del movimento sindacale tradizionale su alcuni principi condivisi, vedi in particolare il rapporto tra i due livelli contrattuali, il significato del salario e della produttività del lavoro, il welfare e la formazione come diritto soggettivo.
L’intesa, per certi versi sorprendente, tra Fim Fiom Uilm (che da anni erano su posizioni diverse) e Federmeccanica e Assistal poi, chiarisce i sospesi anche tra Cgil Cisl Uil e Confindustria, tanto che un eventuale accordo generale – che qualcuno dice servire, qualcun altro no – non può che ratificare quanto fatto dai meccanici.
Il punto è però un altro: se le confederazioni hanno ancora un senso, ci dicono che questo va trovato, insieme al Parlamento, nella definizione di un nuovo assetto regolatorio che possa andare a definire in modo nuovo chi ha titolo e diritto di rappresentare e su quali basi.
Il futuro dell’economia e dell’industria chiede sempre più regole chiare e generali che possano poi trovare il loro dettaglio e la loro specificità nei luoghi di lavoro.
Su quest’ultima asserzione tutti d’accordo.
Ma non parlateci di semplificazioni calate dall’alto a protezione degli interessi dei soliti adducendo che serve semplificazione e spiegando poi che il numero dei contratti deve diminuire.
Vero è che la situazione è sfuggita di mano e per taluni è meglio dirlo sottovoce; dicono che c’è bisogno di rimettere le cose in ordine, e ciò può avvenire solo e soltanto con una legge sulla rappresentanza sindacale.
Giusto regolamentare, ricordando però che l’acqua va sempre verso il basso e non la si può fermare, e neppure si può mettere fuori gioco chi ha inteso e interpretato meglio e prima il cambiamento e che comunque ha un’ampia base di rappresentanza.