MES: IL CITTADINO MEDIO NON SA COSA SIA E COSA COMPORTERA’
Che Bankitalia, che non è propriamente anti-europeista, abbia manifestato profonde preoccupazioni al riguardo dovrebbe dirla lunga. Il punto è che probabilmente i buoi sono già usciti dalla stalla anni fa. E solo adesso ci si accorge che la stalla è vuota. Si vuole far diventare il Mes un Fondo monetario europeo, che integri il ruolo della Bce sul versante dell’essere “prestatore di ultima istanza”. La Bce non può essere prestatore di ultima istanza; quelle funzioni sono state surrogate dal programma Omt (Outright monetary transactions) di Draghi, su cui c’è stato contenzioso presso la Corte di Giustizia (casi Pringle e Gauwailer), e adesso, in una fase di crisi bancaria incipiente – si pensi solo all’esposizione di Deutsche Bank sul mercato dei derivati, pari a 20 volte il Pil tedesco – si ha fretta di chiudere il cerchio, creando un prestatore di ultima istanza. Intanto si riforma il Mes, poi si penserà al suo inserimento nell’intelaiatura istituzionale dell’Unione.
Per le stesse ragioni messe in chiaro da Galli nel suo intervento. E che hanno fatto muovere Bankitalia. Per la marginalizzazione del ruolo della Commissione nella valutazione dell’opportunità di rilasciare finanziamenti ai singoli Stati in caso di bisogno: la Commissione viene ritenuta ormai un organo troppo “politico” già nella burocrazia di Bruxelles, che rivendica un suo ruolo contro la Commissione. Per la scelta di condizionare il rilascio di finanziamenti a una ristrutturazione preventiva del debito. Per l’inclusione di clausole di azione collettiva nelle emissioni di debito pubblico dal 2022 in poi, costruite per facilitare quelle operazioni di ristrutturazione del debito che sembrano essere il cuore di questa riforma.
Per semplificare, senza nulla togliere alla difficoltà della questione. Se un bel giorno si arrivasse ad una situazione di crisi dello spread, tale da precludere l’accesso dell’Italia al finanziamento dei mercati, e si dovesse chiedere l’intervento del Mes – del quale saremmo comunque i terzi contributori – sarebbe il Mes, e non la Commissione, a valutare sulla base di meccanismi automatici l’opportunità di chiedere una ristrutturazione del debito pubblico; sarebbe il Mes a determinare le “condizionalità” – e cioè le politiche economiche da lacrime e sangue da praticare – per ottenere questo finanziamento; e sarebbe sempre il Mes, alla fine, a determinare il contenuto di questa ristrutturazione. Peccato che il debito pubblico italiano sia detenuto per il 70% da banche nazionali.
E quindi, vuol dire che una ristrutturazione di quel debito inciderebbe in modo pesantissimo sui bilanci di banche che hanno comunque sostenuto – oggi assai più che in passato – il debito pubblico nazionale. Ci rendiamo conto di quello che vorrebbe dire per il sistema bancario nazionale una ristrutturazione forzata del debito italiano? E perché si parli di questa riforma come di una pistola puntata alla tempia dei risparmiatori italiani?