319

LEADERSHIP NELL’ORGANIZZAZIONE D’IMPRESA

Leadership parte terza

Leadership e management

La terza ragione d’interesse ha un diretto valore pratico poiché riguarda la comprensione delle so-miglianze e differenze tra leadership e management nelle pratiche organizzative quotidiane. Soffer-mandosi su questi due processi che caratterizzano il volto di un’organizzazione si entra nel merito dell’esercizio dell’azione direttiva. Si scende cioè dal livello delle definizioni generali, che spesso assu-mono come riferimento le storie dei “grandi leader” (nelle organizzazioni o nella vita sociale e politica), per prestare attenzione alle manifestazioni concre-te della leadership incarnata dai coordinatori dei gruppi di lavoro, capisquadra, capiufficio, super-visori, direttori di reparto, manager scolastici, ecc. La leadership che ci preoccupa “è in mezzo a noi” e interpella tutti i membri di un gruppo di lavoro o di una organizzazione, ma in particolare coloro che rivestono posizioni organizzative che hanno un potere formale di influenzare gli altri. Sono essi in grado di fondare la loro capacità di influenza an-che sulle relazioni interpersonali che riescono ad instaurare con i collaboratori?

E’ la domanda che continuamente viene fatta per segnalare una distinzione tra leadership e mana-gement che spesso si è rivelata del tutto astratta o solo scolastica. Infatti, le ricerche empiriche (Yukl, 2010) sottolineano che i due processi non sono completamente separati o mutualmente esclusivi; che entrambe le funzioni possono integrarsi (un capo, nel pianificare, organizzare e verificare do-vrebbe assumere logiche e relazioni di leadership, un leader che non ha competenze organizzative raramente si dimostra efficace) per il conseguimento degli scopi comuni.

Inoltre, la consueta contrapposizione tra leadership e management – così presente nel senso comune e tra gli stessi lavoratori – è spesso frutto di estre-mizzazioni e di stereotipi utilizzati per vari fini: a) per dar conto di malfunzionamenti, per evidenzia-re condotte incompetenti o non etiche ed errori nella gestione della vita organizzativa imputabili ai manager; b) per svalorizzare compiti gestionali in realtà indispensabili per il conseguimento di risul-tati tangibili come ad esempio organizzare, creare ordine, prevedibilità e continuità alle azioni e ai progetti; c) oppure, al contrario, per esaltare la pre-minenza del management relegando in secondo piano le componenti psicosociali della leadership evidenziate dagli Psicologi: rendere attraente e diffondere il significato degli obiettivi, motivare e sostenere i collaboratori, creare relazioni di fiducia, ascoltare le difficoltà, le lamentele e i suggerimenti di cambiamento, potenziare l’identificazione e lo spirito di gruppo, rendere compatibili e sincroniz-zare gli interessi personali e quelli organizzativi.

In generale, si può condividere il fatto che mana-gement e leadership sono processi diversi orien-tati a scopi diversi (ma entrambi necessari) e che la situazione concreta in cui si opera determina il tipo di equilibrio più opportuno tra componenti gestionali e di leadership. Ad esempio, le organiz-zazioni più piccole potrebbero avere bisogno di una maggiore infusione di leadership per deline-are una visione più attraente del futuro, diffondere nuove idee e aprirsi a nuove prospettive di mer-cato. Inoltre, più dinamico e incerto diventa l’am-biente esterno, più la leadership risulta necessaria per ispirare e guidare l’adattamento, l’innovazione e la trasformazione organizzativa; tuttavia col cre-scere delle dimensioni e della complessità azien-dale anche i processi gestionali assumono una più ampia importanza.

Attualmente appare ancora utile approfondire questo tema non tanto sul piano delle definizioni concettuali ma per la sua rilevanza pratica. Esso in-fatti può continuare a dare impulso alla costruzione

di interventi professionali più accurati e personaliz-zati che gli Psicologi del lavoro, delle organizzazioni e delle risorse umane possono applicare: nel reclu-tamento e selezione delle persone da inserire in posizione di responsabilità; nella valutazione delle performance dei dirigenti; nella pianificazione degli sviluppi delle carriere e nelle attività di counseling di carriera; nelle modalità di formazione e di svilup-po professionale centrate sulle competenze di lea-dership per un buon management.

Qualche punto fermo e alcuni nuovi orientamenti

Volendo fare un sommario bilancio dei contributi più recenti sulla leadership e tradurlo in indicazio-ni operative utili per chi opera come Psicologo del lavoro, delle organizzazioni e delle risorse umane, possiamo indicare i seguenti aspetti:

  1. Superare gli approcci individualistici (centrati su qualità o azioni dei singoli). Occorre invece enfatizzare le interazioni tra persone e la loro partecipazione a un’attività condivisa e a pro-cessi collaborativi. In questo senso la leader-ship non è un tratto personale, ma un processo gruppale; non è necessariamente un processo top-down, ma tende ad essere distribuita ai vari livelli di un’organizzazione (ovvero non è rappresentata solo dai grandi o piccoli capi for-mali) e sostenuta da una rete di persone impe-gnate come squadra nel raggiungimento degli scopi collettivi.
  2. Tenere conto della prospettiva delle persone coinvolte nel processo di leadership (e dei suoi eventuali cambiamenti nel tempo). Infatti, la leadership non è statica, ma può modificarsi sia in relazione ai cambiamenti delle percezioni del leader da parte dei collaboratori sia rispetto alle esperienze effettuate, alle riflessioni, ai feedback ricevuti da chi svolge la funzione di leader. Dunque è possibile “apprendere la leadership”, adattandola alle esigenze delle varie situazioni e dei collaboratori.
  3. Non vi è un solo modo di attuare la leadership. Occorre considerare il contesto nel quale si creano le relazioni di influenza e quanto esso può in-cidere sulle modalità di espressione della leader-ship e sugli obiettivi comuni da raggiungere. La manifestazione concreta della leadership in una data situazione organizzativa deriva da una “rela-zione triangolare”: quello che fa il leader, quello che fanno i follower e gli stakeholder (i clienti, i consumatori, ecc.) e quello che deriva dai fattori facilitanti o ostacolanti del contesto.
  4. La leadership non funziona sempre allo stesso modo.

Nell’attuazione concreta della leadership occorre considerare la complessità degli adattamenti legati sia all’aumento della diversità (di genere, culturali, etniche, di competenza, ecc.) della forza lavoro, sia alle difficoltà di instaurare relazioni di fiducia quando la natura instabile degli attuali contratti di lavoro influenza negativamente i processi di identificazione lavorativa e le percezioni di equità di trattamento da parte dei lavoratori.

  1. Considerare che si è di fronte a un processo più orientato al cambiamento che alla conservazione dello status quo.

La leadership non si riferisce prioritariamente alle regole che danno stabilità alla convivenza bensì riguarda il comporta un’enfasi (talvolta retorica) sull’essere far sì che i risultati attesi si realizzino facilitando le condizioni relazionali che spingono le persone a muoversi nella direzione del cambiamento desiderato.

Ciò comporta un’enfasi (talvolta retorica) sull’essere affidabili e degni di fiducia, visionari, creatori di scopi attraenti oltre che di valore, sul comportarsi in modo da essere un esempio per gli altri  che sono assai rilevanti per arricchire le conoscenze sulla leadership e orientare le pratiche professionali: la leadership identitaria e la leadership etica.

Gli Psicologi che spesso svolgono consulenze per il buon funzionamento dei gruppi di lavoro hanno dovuto sicuramente affrontare la grande variabilità delle manifestazioni della leadership e la sua forte dipendenza da fattori contestuali che talora la rendono problematica o insoddisfacente sia per i collaboratori sia per le stesse organizzazioni; essi troveranno quindi conferme nella sintesi dello “stato dell’arte” che è stata fatta

Si può ora aggiungere che nella letteratura scientifica sono in crescita due linee di ricerca e di riflessione che sono assai rilevanti per arricchire le conoscenze sulla leadership e orientare le pratiche professionali: la leadership identitaria e la leadership etica

Leadership e identità sociale

Il contributo di Haslam, Reicher e Platow (2011) of-fre una ricca e moderna visione della leadership co-struita recuperando elementi di conoscenza forniti dai singoli modelli del passato, ma orientata a porre le basi per una nuova prospettiva negli studi sulla leadership centrata sull’identità dei gruppi. Gli ele-menti chiave di tale nuovo modo di pensare alla leadership sono nelle grandi linee così riassumibili. La leadership non è qualcosa che accade in ambiti ristretti sulla base di regole organizzative, ma è al centro delle attività dei gruppi che compongono una organizzazione. Quando un gruppo ha suc-cesso significa che leader e collaboratori/seguaci facilitano gli uni l’azione degli altri poiché ognuno condivide un senso del “noi”.

Gli autori citati sottolineano tre nuclei tematici che caratterizzano il loro approccio alla leadership: 1) la leadership emerge dalla qualità del rapporto tra leader e seguaci; essi sono legati insieme dalla tra leader )e seguaci; essi sono legati insieme tra leader e seguaci; essi sono legati insieme dalla loro comprensione di essere membri dello stesso gruppo sociale (“il leader è uno di noi)  e pertanto di condividere valori ed esperienze. In tal senso i manager possono essere anche leader ma solo nella misura in cui coloro che sono gestiti li percepiscono e si identificano con loro in quanto parte del gruppo, dell’organizzazione o dell’unità organizzativa. 2) Il compito principale della leadership non è quello di emergere coltivando il senso della propria superiorità di posizione o della propria specificità tecnico-professionale. Piuttosto è quello di forgiare, promuovere e incorporare un senso di identità condivisa e di agire concretamente per ottenere risorse per il gruppo, per realizzare gli scopi del gruppo e per incrementare il bene comune e i vantaggi anche per i singoli (il leader “lo fa per noi”). 3) In tale prospettiva i leader sono “imprenditori di identità” ovvero operano “per costruire un senso del noi” capace di mobilitare le persone nel lavoro produttivo quotidiano poiché è visto come coerente con le credenze e i valori comuni. Quello che i leader comunicano sarà influente solo nella misura in cui essi parlano lo stesso linguaggio dei follower e nei modi adatti a rafforzare un punto di vista collettivo.

Leadership etica

Una caratteristica comune delle varie teorie sulla leadership è quella di presentarla quasi in termini ideali o normativi cioè come una “cosa comunque buona e positiva”, che dovrebbe coinvolgere il lea-der e i collaboratori/seguaci nel perseguimento di un cambiamento significativo e moralmente desi-derabile. Com’è noto, due famosi Psicologi studiosi della leadership (Bennis e Nanus 1985) si spingono a definire i leader come le persone che “fanno la cosa giusta”. Più in generale, gli approcci di leader-ship trasformazionale, che sono ancora dominanti nel panorama degli studi, esaltano l’immagine della leadership sempre tesa a migliorare le persone, potenziarle per la loro riuscita professionale e per il successo organizzativo.

Nella realtà quotidiana la leadership può invece mo-strare un “lato oscuro” riferito sia al comportamento dei leader sia a quello dei seguaci. Lo Psicologo Kets de Vries (1993), nella sua attività di consulente organizzativo, ha documentato come talvolta l’aspirazione al comando diventa manifestazione di uno sfrenato desiderio di potere da parte di persone fortemente guidate dal loro narcisismo, arroganti e incuranti delle regole comuni e come anche i seguaci si rispecchino in questi capi approfittando della si-tuazione per acquisire vantaggi personali o attuan-do comportamenti controproducenti per l’organizzazione e tali da incrinare le relazioni fiduciarie. In generale, il cattivo uso della leadership anche a livelli bassi dell’organizzazione (in un gruppo di lavoro, in una squadra, in un ufficio, in una commis-sione di concorso, ecc.), le prevaricazioni e i molti scandali organizzativi dei top manager hanno reso saliente negli ultimi anni l’interesse per l’eticità della leadership. In realtà, il tema era presente, in un’ottica individualistica, anche nel passato dal momento che nella lista delle qualità ideali di un buon leader compariva spesso il concetto di “integrità” (declina-to come onestà personale), ma ora si sta ampliando e assume risvolti organizzativi, di grande interesse per la reputazione e la responsabilità sociale di un’organizzazione (Brown e Trevino, 2006).

La leadership etica si connota non solo con l’idea di “fare le cose giuste” per le persone, per l’organiz-zazione e per l’ambiente di riferimento, ma anche come espressione – ai vari livelli di comando – di condotte che esprimono coerenza tra i valori di-chiarati (e condivisi) e quelli messi in pratica. Ciò ha effetti di rilievo nel modo con cui si dovrebbe descrivere l’efficacia dell’azione direttiva. Essa risulta caratterizzata, ad esempio, dall’evitare privilegi e favoritismi nella gestione del personale, dall’equili-brio nella risoluzione delle dispute tra i membri del gruppo, dall’instaurare relazioni lavorative corrette, rispettose dei criteri di giustizia distributiva, proce-durale e relazionale e attente a riconoscere il valore del contributo di ciascuno per il bene collettivo.

L’attuale sensibilità delle organizzazioni intelligenti per una leadership etica corrisponde allo “spirito del tempo” sempre più insofferente verso le malversa-zioni di un potere formale insensato, ma ha anche un risvolto utilitaristico. Infatti, numerose evidenze scientifiche della ricerca psicologica (Avey et al. 2012; Walumbwa et al;  2011) confermano i bene-fici di tale tipo di leadership: aumento della soddisfazione, del benessere lavorativo e dei “compor-tamenti di cittadinanza organizzativa” (altruistici e prosociali); miglioramento delle prestazioni e della produttività; riduzione delle condotte trasgressive e controproducenti; percezioni positive da parte dei lavoratori dei “leader etici”.

Tra i vari modelli operativi che traducono questi orientamenti in pratiche di ricerca e intervento professionale di interesse per gli Psicologi del lavo-ro possiamo di sfuggita citare l’Authentic leadership e la Servant leadership:

  • Sono “leader autentici” coloro che sono pro-fondamente consapevoli dei propri valori e del modo in cui pensano e si comportano coerentemente. Sono anche percepiti dagli altri come

consapevoli dei valori e delle prospettive mo-rali proprie e altrui, oltre che del contesto in cui operano. L’articolazione operativa di tale definizione (Klenke, 2007) e gli strumenti per misurare l’Authentic leadership convergono intorno a diverse dimensioni soggiacenti, basate sul capitale psicologico positivo del leader stesso: fiducia, self-efficacy, ottimismo, speranza e resilienza.

  • Il costrutto di Servant leadership (leadership di servizio) si concentra sull’intenzione (atteggia-menti e strategie di azione) del leader di sostenere gli altri piuttosto che sul perseguire i propri obiettivi. Contrariamente ai modelli tradizionali che presentano il leader come propenso a vedere le persone, compresi i collaboratori diretti, come semplici «unità produttive», come risorse da usare per migliorare la produzione, nella Servant leadership il leader intende applicare il suo «potere relazionale» per potenziare la crescita delle persone, per renderle più consapevoli, libe-re da vincoli, autonome e altruiste. Data la natura delle sue dimensioni costitutive (ad esempio, Capacità relazionale ed empatica, Creare valore per la comunità, Capacità di delega e crescita dei collaboratori, Mantenere valori e comportamen-ti etici, ecc.) il modello della Servant leadership è stato ampiamente usato per esplorare le partico-larità della leadership nei setting educativi, nelle organizzazioni sanitarie e in quelle no-profit (Sar-chielli, De Plato, Albertini, 2015).

Conclusioni: agire per migliorare la leadership

È persino ovvio ricordare che gli effetti di una buona (o cattiva) leadership si diffondono in tutte le parti di un’organizzazione. Incidono sulle singole persone direttamente coinvolte in un gruppo di lavoro, ma anche sugli altri gruppi, sul clima e la cul-tura organizzativa, sulle procedure, ecc. Al riguardo vi è un patrimonio di evidenze empiriche così

ampio che è difficile persino classificarlo. Usando le indicazioni di Yukl (2010) possiamo darne un’idea generale: per confermare l’importanza di intervenire come Psicologi in una organizzazione avendo una chiara consapevolezza del ruolo centrale della leadership su molti aspetti della vita organizzativa; per sottolineare che – viceversa – gran parte degli interventi psicologici centrati su singole questioni organizzative (ad esempio, miglioramento della comunicazione, delle dinamiche di un gruppo, delle motivazioni lavorative, ecc.) si riflettono o chiamano in causa anche il miglioramento della leadership:

  1. si è dimostrata l’efficacia dei comportamenti di leadership centrati sui compiti che si esprimono secondo un’ottica di coordinamento (e sempre meno di “comando e controllo”). Essi sono salienti e hanno un diretto rilievo per l’acquisizione delle risorse necessarie al team, per il loro utilizzo funzionale ai risultati attesi, per un’appropriata valuta-zione dei risultati, per il miglioramento della qua-lità delle prestazioni (condivisione delle priorità e degli standard da ottenere) e della produttività complessiva.
  2. I comportamenti di leadership centrati sulle re-lazioni danno impulso all’impegno delle persone sugli obiettivi mediante la crescita delle relazioni fiduciarie reciproche, la cooperazione e l’identificazione con il team o l’organizzazione.

Si è visto che tali comportamenti si esprimono in vari modi che risultano molto apprezzati come il  mentoring e il coaching (o la predisposizione di at-tività di counseling mediante professionisti esterni). Spesso si traducono in iniziative partecipative di consultazione e ascolto dei lavoratori prima di prendere decisioni importanti e di team building per avviare i gruppi, facilitare la cooperazione e l’identificazione organizzativa.

Ricerche recenti di Psicologia della salute occupazionale mettono in risalto numerosi effetti positivi di questa componente della leadership sul benessere individuale e collettivo, sul clima di sicurezza, sulla prevenzione di infortuni e di condizioni stressanti, dell’uso di farmaci e di alcool (Kelloway e Barling, 2010).

D.ssa Valeria Guerra

Psicoterapeuta – Docente di metodologie Anti-aging e Antistress

Responsabile del dipartimento di Mentoring & Coaching

presso la Scuola d’Impresa di Assimpresa dal 2005

 

Cerca