ELEZIONI E BRIDGEWATER SCOMMETTE CONTRO L’ITALIA
Prima parte
Uno dei più grandi fondi hedge globali, Bridgewater, ha recentemente triplicato la propria posizione short sul mercato italiano aperta a inizio ottobre.
La puntata, secondo Bloomberg, sarebbe passato da poco più di 700 milioni a più di due miliardi di dollari. La cifra è a oggi la maggiore scommessa al ribasso di sempre fatta dal fondo Bridgewater. Una scommessa di questo importo non è normale e può essere giustificata solo con un preciso scenario macroeconomico e politico
La scommessa non è su una singola società o su un settore, ma presuppone che l’Italia in quanto tale attraverserà un periodo di forte volatilità finanziaria e che questa volatilità sia sensibilmente maggiore di quella dei mercati. Si immagina uno scenario da crisi dei debiti sovrani del 2012 piuttosto che da crisi dei mercati globali del 2008.
Non sappiamo se Bridgewater avrà torto o ragione, ma possiamo capire con buona approssimazione quale sia lo scenario che ha immaginato. Un fondo americano professionale ovviamente non crede alla letteratura che si legge sui giornali italiani sul debito che spaventa i mercati. Chi viene da un Paese che ha risolto la crisi peggiore dal ’29 spedendo sulla luna il debito pubblico, quando già quello privato era ai massimi, e che a conclusione del processo ha persino scelto di abbassare le tasse sa che lo stock di debito e la sua evoluzione hanno poco e niente a che fare con le crisi dei debiti e tanto meno possono essere combattute con l’austerity.
Il debito, di per sé, non è quasi mai un problema. Si possono anche escludere timori sulle prossime elezioni; l’Italia ha una politica economica che, con le buone o con le cattive, è decisa con il pilota automatico dall’Europa.
Nessun investitore poi farebbe una scommessa di questo tipo su un evento, le elezioni, assolutamente imprevedibile. Serve un evento molto più prevedibile delle elezioni. Negli ultimi tre anni chi ha scommesso su elezioni o referendum tendenzialmente si è fatto male.
Una scommessa contro l’Italia non può prescindere in nessun modo da un’assunzione sul comportamento dell’Europa.
Nel 2012 la Bce ha fatto scomparire in qualche mese una crisi che a un certo punto aveva fatto ipotizzare la fine dell’euro. Mettersi contro una delle maggiori banche centrali del globo è un mestiere difficile e pericoloso soprattutto se sul piatto si mettono due miliardi di dollari. Oggi i rendimenti delle obbligazioni statali sono ancora ai minimi e le banche centrali stanno dimostrando di essere molto caute e prudenti nel percorso di normalizzazione dei tassi.
Bridgewater sta immaginando con ogni probabilità che ci possa essere una fase di crisi dei mercati o un periodo di rallentamento globale.
Niente di apocalittico per carità, ma un’evoluzione fisiologica dopo un periodo di rialzi record.
Le scosse all’interno dell’Europa si sono sempre determinate durante fasi di rallentamento o crisi globale. In queste fasi quello che accade è che certi Paesi hanno leve per reagire e altri no. Per esempio, la Francia ha potuto sforare i parametri sul deficit per molti anni di fila anche in presenza di forti incrementi del debito alla lunga fuori controllo esattamente come quello italiano. La banca centrale e le istituzioni europee hanno tempi di reazione molto diversi a seconda del Paese colpito. In presenza di una fase di rallentamento o di crisi speculativa un Paese potrebbe fare politiche anticicliche.
L’Italia no perché ha il pareggio di bilancio in Costituzione e perché deve rispettare il 3% anche in anni di grandissima crisi.
Un Paese potrebbe svalutare la sua moneta per dare uno slancio alle sue imprese. L’Italia no perché ha l’euro.
Un Paese potrebbe, ancora, mettere in campo la sua banca centrale come hanno fatto gli Stati Uniti con la Fed, ma l’Italia no perché c’è la Bce.
Un Paese infine potrebbe convincere le sue banche a dirottare risparmi e attivi a comprare debito.
È stata l’unica vera arma che ha avuto l’Italia nel 2012, ma non l’avrà più tra qualche settimana grazie alle norme che verranno approvate in Europa sul limite al possesso dei titoli statali per le banche.