DA LEADER A RESPONSABILE
Da leader a responsabile, la “rivoluzione” che serve nel lavoro
Abbiamo parlato di leadership nel mondo del lavoro, ma in realtà alla prima occasione emerge che conta di più la capacità di essere responsabili.
Di solito in un ciclo di incontri sul tema delle soft skills, arriva il momento in cui ti viene richiesto di trattare il tema più gettonato in questo campo: la leadership.
Devo rispondere a chi mi chiede di insegnare ad essere leader che non si può insegnare a essere dei leader, poiché trattasi di ‘qualcosa’ che si conquista sul terreno delle sfide quotidiane e non in un’aula, su indicazione di un professore. Allora? Come insegna la filosofia, si può conoscere per opposto.
Un leader, innanzitutto, non parla della propria leadership, perché preferisce indirizzare l’attenzione dell’interlocutore su ciò che sta costruendo piuttosto che su di sé.
Di conseguenza, diffidate di libri con titoli dal seguente stile: “Essere leader oggi”, “Leader di te stesso” e ancor più di incontri in stile “Scopri il leader che c’è in te”, “I’m a boss” e via dicendo. Un leader non sfrutta, ma fornisce il buon esempio, conducendo per primo il team che guida.
Come suggerisce infatti il significato del verbo inglese to lead, da cui deriva “leadership”, chi possiede questa dote si impegna maggiormente a guidare le persone verso una meta prefigurata, piuttosto che a parlare di quanto sia bravo a farlo.
A tal proposito racconto un episodio capitatomi in un’azienda in cui mi sono state assegnate delle docenze: il presidente della società, prima di invitare in aula i propri top manager responsabili, ha richiesto che effettuassi un colloquio della durata di un’ora con ciascuno di essi, per conoscerli meglio.
Ho quindi incontrato in un ufficio il primo fra loro, il quale, parlando di sé, si è lanciato in un lungo e concitato sermone sulla leadership fino al momento in cui l’ho interrotto e, secco, gli ho domandato: “Ti va se faccio un test sulla tua capacità di essere un leader e poi fornisco un feedback diretto al Presidente?”. Gli ho letto in volto un sorriso beffardo, il petto gonfio e le mandibole irrigidite (un segnale di rabbia e accettazione della sfida, proprio della comunicazione non verbale) sentendomi rispondere con un sì convinto.
Allora io, con un sorriso altrettanto beffardo, gli ho risposto: “Ottimo! Esci pure da questo ufficio, per favore, e accompagna qui con noi i tuoi referenti e la tua segretaria”.
L’uomo, dopo essere sbiancato, ha preso a toccarsi il colletto e balbettando ha domandato: “Perché? Posso rispondere io per loro!”.
Ed io: “La capacità di leadership di un uomo viene stabilita da chi ci lavora ogni giorno insieme, il suo parere per me conta in modo più che marginale”.
Nella modalità con cui i manager dovrebbero condurre i propri collaboratori al raggiungimento degli obiettivi le parole sono importanti. Di conseguenza bisognerebbe, riferendomi soprattutto alle prime linee, cessare definitivamente di utilizzare termini come leader, capo, boss e usarne uno più serio e chiaro: responsabile.
Chi è responsabile? Semplice: colui che è abile a rispondere e anche colui che si assume le responsabilità di ciò che accade. Il primo, quindi, che si addossa le colpe del mancato raggiungimento di un target, il primo a rispondere dell’errore di un membro del proprio staff, il primo a impegnarsi in un nuovo progetto e, soprattutto, l’ultimo a uscire dal luogo di lavoro e abbandonare il proprio collaboratore.
Se si iniziasse a parlare meno di leadership e più di responsabilità sono certa che si riuscirebbe a distinguere meglio chi vale e chi invece è solo bravo a parole.
Tutto sommato questo sarebbe comunque un risultato di cui per ora ci si potrebbe accontentare.
D.ssa Valeria Guerra
Psicoterapeuta – Docente di metodologie Anti-aging e Antistress
Responsabile del dipartimento di Mentoring & Coaching
presso la Scuola d’Impresa di Assimpresa dal 2005