TARANTO vista da un cittadino di Taranto
Se Arcelor Mittal chiude l’Ilva come ora appare deciso, una Regione salta e l’Italia andrà in ginocchio. Citazioni, condanne e sentenze, se mai, e quando arriveranno, Taranto economica sarà morta.
Le polemiche e le minacce giudiziarie sul contratto Mittal a Taranto a che servono?
In questi casi l’investitore ragiona così: prima prendo il mio e poi si vede. Questo perché il governo italiano è debolissimo, e con le lentezze della burocrazia e della giustizia, chi verrà tra 10-20 anni a esigere penali?
Quando si fanno grandi investimenti contano solo tre cose: la politica, la convenienza delle parti e i rapporti di forza. Questo governo o i governi precedenti non lo sapevano e/o hanno fatto finta di non saperlo? Oppure, che è peggio, ignorano le leggi basilari della politica?
Infine la città. Taranto sostanzialmente dai tempi dell’impero romano ha smesso di contare.
Da due secoli è stata solo un deposito di idee altrui. Fu riscoperta da Napoleone che ne voleva fare il ponte tra l’Europa, unificata sotto il suo dominio, l’Asia e l’Africa.
Il Regno d’Italia, appena dopo l’unificazione, ripescò il progetto e ne fece il suo porto militare principale.
La prima Repubblica, nel suo nobile afflato di sviluppare il Sud, ci fece l’Italsider, la più grande e sofisticata industria dell’acciaio d’Europa. Dopo non c’è stato altro.
Agli inizi del 2000 Romano Prodi avrebbe voluto farne il più grande porto commerciale dell’Europa, ma di nuovo governo centrale e locale non risposero.
Ora il governo – a parte l’ipotizzato intervento della Cassa Depositi e Prestiti o la nazionalizzazione, legge comunitaria sugli aiuti di Stato permettendo – ha qualche idea?
E la città?
Se il governo di Roma è debole, quello di Taranto ancora di più.
In città ci sono solo due forze che in questi anni si sono battute per una soluzione: l’arcivescovo Santoro e la Marina militare, che oggi rimane il maggiore singolo datore di lavoro locale.
Difficile anche ripartire da lì?
Possono promuovere almeno un tavolo di discussione per il futuro? Il futuro è oggi.
Antonio Fortuna – Presidente Assimpresa