TASSO D’USURA: pronuncia della Suprema Corte
Con una recente pronuncia la Suprema Corte si è espressa sulla questione del superamento del tasso di soglia-usura (Cass. Civ. Sez. I, ord. n. 1464 del 18 gennaio 2019).
Gli Ermellini precisano quali debbano essere le modalità di calcolo da utilizzare per verificare l’effettivo superamento del tasso di soglia di usura e, ribandendo l’orientamento già affermato loro nel giugno scorso (con l’importante sentenza n. 16305/2018), pongono (probabilmente) fine alla problematica sorta in seguito all’introduzione della legge 7 marzo 1996, n. 108.
- Il conflitto (normativo) interpretativo
Come sappiamo, il reato di usura trova il suo riferimento normativo nell’art. 644 c.p., il quale stabilisce che “chiunque, fuori dei casi previsti dall’art. 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sè o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari (c.c. 1448, 1815), è punito con la reclusione da due a dieci anni e con multa da euro 5.000 a euro 30.000”.
Il citato disposto normativo è stato riformulato dalla legge 7 marzo 1996, n. 108 la quale ha apportato diverse innovazioni e modifiche.
Per quel che qui riguarda, il problema interpretativo è sorto con riferimento alla circostanza per cui da un lato il riformulato art. 644 c.p. al comma 4 stabilisce che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”, mentre dall’altro le relative “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” non tenevano minimamente conto del CMS (Commissioni Massimo Scoperto) per la determinazione del TAEG (Tasso Effettivo Globale Medio).
Nel tentativo di risolvere l’apparente conflitto interpretativo l’art. 2 bis del D.L. n. 185/2008 introdotto dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2 al secondo comma stabilisce che “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendenti dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 del c.c., dell’art. 644 c.p. e degli artt. 2 e 3 della l.n. 108/1996”.
Lo sforzo del legislatore però non è servito ad evitare problemi applicativi della disciplina in discorso, circostanza poi sfociata in un vero e proprio constrato giurisprudenziale.
- Il conflitto giurisprudenziale
L’importanza della pronuncia in commento trae origine dal contrasto giurisprudenziale nato tra la Seconda sezione penale e la Prima sezione civile della Suprema Corte.
In breve, la Seconda sezione penale attraverso una serie di svariate pronuncie (sent. 12028 del 26 marzo 2010; n. 28743 del 14 maggio 2010; n. 4669 del 23 novembre 2011) stabiliva che al fine di determinare la fattispecie di usura si dovevano considerare tutti gli oneri che un utente aveva sopportato in connessione con il suo uso del credito, tra essi doveva rientrarvi anche il CMS.
Secondo i giudici di legittimità della Seconda sezione Penale questa interprazione trovava fondamento nel considerare l’art. 2 bis D.L. N. 185 del 2008 una “norma di interpretazione autentica del quarto comma dell’art. 644 c.p. in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme” (Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 12028 del 26 marzo 2010).
Diametralmente opposto era l’orientamento offerto dalla Prima sezione civile, il quale non condividendo la possibilità che il citato art. 2 bis potesse assumere “a norma interpretativa autentica”, escludeva che il CMS potesse essere incluso nella verifica del tasso di soglia presunta (Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 12965 del 22 giugno 2006).
- Fatti di causa
Con ricorso per Cassazione l’Istituto di Credito ricorrente (B.P.) ha impugnato il decreto del Giudice Delegato avente ad oggetto l’approvazione dello stato passivo fallimentare di una società a responsabilità limitata, non essendole stato riconosciuto un credito.
La ricorrente assumeva in primo luogo che “la metodologia di calcolo seguita dal curatore nel determinare i tassi di soglia” era errata. Nello specifico evidenziava che “il singolo tasso soglia annuale era stato calcolato inserendovi il valore percentuale della commissione di massimo scoperto riferita al singolo trimestre”.
Inoltre, con riferimento alla commissione di massimo scoperto affermava che la stessa non andava ricompresa nel tasso economico globale.
Il Tribunale di Arezzo ha ritenuto infondata l’opposizione.
Con riferimento alla prima doglianza rilevava l’erroneità del metodo di calcolo indicato dalla Banca ricorrente, in quanto lo stesso non doveva basarsi sulla sommatoria dei valori relativi alla commissione di massimo scoperto, ma bensì “sulla estrapolazione della media dei valori stessi”.
Riguardo poi alla seconda censura assumeva che, per la determinazione dell’interesse usurario si doveva fare riferimento “alle commissioni e remunerazioni collegate all’erogazione del credito”.
Infine negava che in relazione a rapporti svoltisi in data anteriore all’entrata in vigore della normativa di riferimento (l.n. 2/2009, art. 2 bis, co. 2), la commissione di massimo scoperto potesse essere “esclusa dal calcolo del tasso economico globale della singola operazione di finanziamento”.
La Banca ricorreva cosi per Cassazione.
- La decisione
Con la pronuncia in commento i giudici di legittimità hanno stabilito (meglio ribadito) che, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta in relazione ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’art. 2 bis d.l. N. 185/2008, bisogna effettuare una comparazione separata del tasso effettivo globale d’interesse concretamente praticato e della commissione di massimo scoperto applicata con il tasso soglia e la commissione di massimo scoperto.
Nello specifico detta commissione va calcolata aumentando della metà la percentuale di massimo scoperto media indicata nei decreti ministeriali della l. n.108/1996. L’eventuale eccedenza della commissione di massimo scoperto praticata con quella rientrante nella soglia indicata andrà compensata con il margine di interessi residuo, ottenuto dalla differenza tra l’importo degli interessi rientranti nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.
Tale operazione va poi compiuta con riferimento ad ogni trimestre, dovendosi verificare – ai sensi dell’art. 2, co. 1 l.n. 108/1996 – il superamento della soglia usuraria “con riferimento ai diversi valori medi che sono oggetto della rilevazione eseguita con tale periodicità”.
Inoltre, sulla scorta di quanto detto sopra, gli Ermellini hanno altresì affermato che, le commissioni di massimo scoperto assumono rilevanza ai fini della verifica del superamento del tasso soglia, specificando che dette commissioni devono rientrare tra le “commissioni” o “remunerazioni” del credito menzionate sia dall’art. 644, co. 2, c.p. che dall’art 2, co. 1, l.n. 2/2009.