Flessibilità? No, grazie. Prima si aumenti la spesa pubblica in maniera mirata
Dite una parola che non sia “flessibilità”, perché questa – gentil concessione – non sarà mai abbastanza
I commenti alla predica del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco che si sostanzia nell’ «’Italia vulnerabile, il debito ci frena, quindi ora si intervenga per approfittare del consolidamento della ripresa». Ma, mi chiedo, si può parlare in questi termini di una ripresa che resta sotto il punto percentuale?
Una ripresa che si deve peraltro in gran parte a contingenze favorevoli destinate a sparire nel giro di pochi mesi? il calo dell’euro rispetto al dollaro – un calo maggiore del 20% tra metà 2014 ed inizio 2015 –, un crollo del prezzo del petrolio, il QE della BCE e gli interventi di Draghi, la flessibilità sui conti concessa da Bruxelles: tutte cose a termine, che ci hanno consentito un beneficio di decine di miliardi di euro.
E ora? E ora Visco ci dice la solita cosa, che a frenare la crescita è l’eccessivo debito. E che occorrono per ridurlo una revisione della composizione delle spese e delle entrate per favorire gli investimenti, una riconsiderazione dei trasferimenti e delle agevolazioni ed esenzioni fiscali.
E poi di quella che è stata definita ed in effetti è una proposta choc: un avanzo primario del 4% annuo, il che significa correzioni e manovre da decine di miliardi di euro per ridurre il debito. Ma la politica su questo tace. Come tace sull’altra spinosissima ed interconnessa questione della nostra permanenza nell’euro; in quest’europa e in quest’euro.
La risposta della politica deve essere però assolutamente chiara, non alla Macron, per intenderci, che si è espresso per la permanenza nell’euro sic et sempliciter, il risanamento dei conti pubblici ed il cambiamento delle regole dell’area della moneta unica.
Perché in questa triade manca il punto dirimente: oggi le depresse economie dell’Eurozona richiedono una politica economica interventista, richiedono probabilmente, per essere reinmesse in un ciclo virtuoso, un aumento del debito pubblico, almeno sul breve termine.
Ciò è incompatibile con il rispetto del Patto di stabilità.
Gli economisti che non vogliono apparire troppo eversivi dicono che la soluzione sta nell’aumento della flessibilità, la parolina magica che pronuncia ogni giorno il Governo italiano.
E invece la soluzione sta probabilmente nell’interventismo liberale. Se ne può parlare o è eresia?.
Ma la flessibilità è la deroga a una norma e non la si può impiegare per una panificazione economica di lungo respiro, perché sarebbe come fare i conti senza l’oste.
Qualcuno batta un colpo: come può investire lo Stato senza aumentare la spesa pubblica e rimanendo così entro i parametri del Patto di stabilità?
Non ci si dica con la crescita, per cortesia, perché senza un intervento pubblico una robusta ripresa non vi sarà mai: in termini filosofici siamo di fronte ad un’aporia.
Quando sentite che si ridurranno la spesa, la corruzione e l’evasione e ci credete, si diventa correi del disastro.
Sono cose del dopo, quando gli italiani, dismessi i panni del servo e della mite pecora da tosare, troveranno la forza di estirpare le radici malate del malaffare e dell’illegalità e non fraintendete!
Prima si ritrovi una dignità economica personale e nazionale aumentando la spesa pubblica in maniera mirata ed efficace e poi si recuperi quella dignità morale che è il presupposto imprescindibile per combattere le sacche del privilegio e dell’arroganza. Per combattere la furfanteria, legalizzata o meno essa sia.
La depressione non riforma nulla.
La depressione uccide o ti fa tirare avanti in balia dei parolai. Ti fa sorridere e credere a tutto.
Ti fa smettere di essere uomo per essere solo un viandante su un mare di macerie.
Stiamo a dibattere per giorni di mezze frasi incomprensibili a chi le ha pronunciate.
Rialziamo la testa, amici!